
Tara Riva
Anno di laurea SID: 2014
1. Tara, ciao! Che lavoro fai? Ci spieghi, in breve, in cosa consiste la tua attività quotidiana?
Ciao Luca!
Sono Tara, ho 30 anni e da circa un anno sono insegno Business English (inglese commerciale).
Prima di lanciarmi in questo mondo, ero anch’io nel classico percorso post-SID: lavoravo a Bruxelles come Advocacy Officer (nelle prossime domande approfondiremo i miei lavori precedenti). In seguito a una serie di eventi, mi sono lentamente staccata da quel mondo per lanciarmi nell’insegnamento.
Nel novembre 2020 sono diventata mamma di una splendida bambina di nome Daphne, nata a Bruxelles. Qualche mese dopo, il mio compagno ha ricevuto un’eccellente offerta di lavoro ad ABB vicino a Zurigo e dopo aver fatto le nostre valutazioni, abbiamo deciso di lanciarci in questa avventura. Una volta conclusa la maternità, mi sono dimessa dal mio precedente lavoro e ho colto l’opportunità per poter stare qualche mese in più’ con mia figlia. Se fossimo rimasti a Bruxelles, la bimba avrebbe iniziato il nido a 4-5 mesi.
Una volta arrivata in Svizzera, ho iniziato a cercare lavoro nel mio settore ed ero in contatto con due organizzazioni che si occupano di Health Advocacy a Zurigo. Nel frattempo, pero’, davo lezioni di Business English privatamente a dei giovani professionisti, soprattutto online. Vedendo i risultati ottenuti dai miei studenti e notando la gioia che mi dava l’insegnamento mi sono sempre piu’ dedicata a questo percorso fino a decidere di ottenere una certificazione TEFL in Business English e dedicarmi solo a questa attività. Non è stato semplice, perché avendo un buon curriculum avrei potuto continuare a lavorare nel mio ambito di studi. Al momento, pero’, non rimpiango nulla.
Negli ultimi mesi ho deciso di dedicare più’ tempo ai miei studenti ‘storici’ che necessitano di aiuto nel Business English e di non prendere ulteriori studenti perché ho iniziato a dedicare più’ tempo al mio profilo Instagram (Tara’s Business English) dove insegno Business English con mini lezioni quotidiane sul vocabulary, idioms, collocations, pronunciation e delle piccole career tips. Il lavoro sui social richiede tempo, ma penso che sia necessario perché in Italia la maggior parte dei profili social di inglese tendono a insegnare lo slang, mentre io vorrei poter dare una mano ai neolaureati e giovani professionisti nell’internazionalizzare la propria carriera.
Nel 2023 mi piacerebbe creare un corso di Business English online specifico per le esigenze degli italiani, basato sulla mia esperienza di insegnante e professionista, avendo alle spalle diversi anni di lavoro in contesti internazionali.
Nonostante il fatto che fossi molto titubante nel lanciarmi in questo mondo, devo ammettere che vedere l’impatto che puoi avere sulla vita di una persona, aiutandola a maturare e migliorare nel proprio lavoro dà un senso di appagamento imparagonabile rispetto a quello dei miei lavori precedenti.
2. Dopo la laurea a Forlì, quale percorso hai seguito?
Dopo la laurea triennale a Forlì mi sono trasferita in UK per un Master in Global Security Studies all’Università di Sheffield. E’ stato un percorso meraviglioso dal punto di vista accademico: a Forlì avevo acquisito molte nozioni teoriche, mentre a Sheffield dovevo saper argomentare e difendere le mie tesi facendo riferimento a tutta la teoria acquisita. Non me ne rendevo conto, all’epoca, ma questo ti facilita molto la vita nel mondo del lavoro.
Dopo il Master ho frequentato la Scuola di Politiche di Enrico Letta, un’esperienza che consiglio fortemente a tutti gli studenti del SID. Non si tratta di una scuola di partito, ma è un ottimo modo per seguire delle lezioni incredibilmente interessanti e creare un network di conoscenze molto vasto. Dopodiché, nel 2016, mi sono trasferita a Ginevra per un internship alle Nazioni Unite, dove lavoravo nell’ufficio del Director General, specificatamente nella NGO liaison unit, l’ufficio che si occupa delle relazioni fra la civil society e le Nazioni Unite. Conclusa questa internship, mi sono trasferita a Bruxelles (avevo 24 anni e ci sono rimasta fino a quando ho compiuto 29 anni) per il Schuman Traineeship al Parlamento Europeo. E’ stata un’esperienza fondamentale per poter conoscere da vicino la famosa “bubble”. Nel 2018 ho iniziato a lavorare per la International Society of Nephrology come Advocacy Officer (ISN), un ruolo che ho ricoperto per tre anni, fino a quando ho dato le dimissioni per trasferirmi in Svizzera. Nel mio precedente ruolo di Advocacy Officer ad ISN mi sono potuta dedicare sia a progetti condivisi con l’OMS sia a progetti svolti a Bruxelles in collaborazione con altre note ONG (per esempio la International Diabetes Federation, la World Heart Federation, ecc) e, in parte, anche con le istituzioni europee. ISN era molto flessibile, avrei potuto lavorare per loro anche vivendo a Zurigo, ma diciamo che il gioco non vale la candela: avere uno stipendio belga per vivere in Svizzera sarebbe abbastanza folle.
3. Quali sono i traguardi raggiunti fino ad ora dei quali ti senti più orgogliosa?
Il 18 marzo 2020 il Belgio è entrato nel primo lockdown. Il 5 marzo io ho avuto la conferma di essere incinta, e pochi giorni prima la mia manager aveva dato le dimissioni. Ad ISN i dipendenti lavorano su diversi progetti assieme ai nefrologi, che in quei giorni erano ovviamente impegnati a svolgere il lavoro clinico a causa della pandemia. Mi sono ritrovata a fine marzo a vivere la prima gravidanza in un clima globale di paura, di perdere un grande punto di riferimento (la mia manager, bravissima) e soprattutto di ricevere come eredità una mole di lavoro enorme. Alcune mansioni più’ rilevanti erano passate dalla mia manager direttamente alla CEO, ma anche lei era stata travolta dal caos della pandemia. Abbiamo dovuto riadattare il nostro advocacy messaging, dato che per anni abbiamo incentrato il nostro programma sulle malattie non trasmissibili (come l’insufficienza renale) per poi ritrovarci nel pieno di una pandemia che aveva sollevato tutta l’attenzione sulle malattie trasmissibili. In tutti quei mesi ho lavorato molto più delle mie otto ore giornaliere (anche 10-11 ore al giorno), il tutto portando avanti una gravidanza piuttosto complicata.
A settembre ISN ha assunto il nuovo Advocacy Director, con cui ho immediatamente creato un rapporto di fiducia. Dopo poche settimane mi ha detto senza mezzi termini che ero davvero molto in gamba, tant’è che mi ha lasciato gestire liberamente molti progetti che avevo ereditato facendomi svolgere mansioni molto importanti. Per me fu come un fulmine a ciel sereno: ero sempre stata molto insicura e temevo di commettere degli errori che potessero mettere in difficoltà gli altri. Eppure mi sono accorta che ero molto più brava e capace di quel che credevo, semplicemente non ero abbastanza temeraria per uscire dalla comfort zone delle mie mansioni quotidiane. Quando sono andata in maternità ero convinta che, una volta tornata al lavoro, avrei sicuramente ottenuto una promozione.
Questo mi ha resa davvero orgogliosa, perché ho lavorato fino al nono mese di gravidanza e sono riuscita addirittura non solo a mantenere vivi tutti i progetti precedenti, ma anche ad espanderne altri relativi a patologie renali e COVID, ricevendo feedback positivi.
4. Come è vivere a Zurigo, in Svizzera? Ti sei ambientata facilmente?
Noi viviamo a circa 20-25 minuti in macchina dal centro di Zurigo, ma siamo nel Cantone di Argovia. Ho conosciuto Zurigo e Baden da mamma, che cambia completamente la prospettiva con cui vedi e valuti una città. Da mamma, la Svizzera rasenta la perfezione. Le scuole rispecchiano pienamente i miei ideali, per esempio dove abitiamo noi i bambini a 8 anni devono obbligatoriamente andare a scuola da soli, sia per incentivarne l’autonomia sia per evitare che si crei competizione fra i bambini in base alla macchina dei genitori. Andandoci a piedi, i bambini sono tutti uguali.
La città di Zurigo è bellissima, multiculturale, vivace, efficiente, pulita. Il costo della vita è altissimo, ma rispecchia gli stipendi. Ci sono diversi sgravi fiscali per le famiglie e se si lavora nelle grandi aziende (ce ne sono molte a Zurigo, Zug, Basilea e Lucerna) si ricevono molti benefit anche in quanto piano pensione, trasporto, ecc. Nel nostro ambito di studi, la città di riferimento è Ginevra, essendo sede di molte ONG, delle Nazioni Unite e del WHO.
Il sistema sanitario svizzero è eccellente, nella mia esperienza è imparagonabile con quello in Belgio o UK. Ovviamente, qui, la sanità è privata ed è costosa, ma considerando la qualità e i tempi di attesa quasi inesistenti, non mi meraviglio del fatto che gli svizzeri abbiano votato per mantenerla privata. Io do un sereno 10/10 alla Svizzera tedesca e un 8/10 alla Svizzera francofona.
Conosco comunque molto meglio Bruxelles, avendola vissuta da non-mamma. Nella mia esperienza, mi sento di consigliare ai siddini di fare un’esperienza di lavoro a Bruxelles, soprattutto se sono freschi di laurea. Questo perché il mercato del lavoro è piuttosto flessibile, dunque nel giro di qualche mese si riesce a trovare un internship e poi un entry level job. Ci sono tantissime ONG, trade associations o società di consulenza che lavorano con le istituzioni europee. Bisogna essere tenaci e mandare tantissime applications, senza scoraggiarsi ai primi “no”. Dopo un centinaio di ‘no’, arriverà un ‘si’. A Bruxelles si ha la possibilità di iniziare a lavorare su temi molto interessanti da subito, mentre in Italia si tende a essere un po’ troppo ‘protettivi’ nei confronti dei tirocinanti e dei giovani in generale, che spesso svolgono mansioni non all’altezza delle loro competenze. Io sono riuscita a ottenere il mio primo contratto a tempo indeterminato a 25 anni.
Ho molti più’ dubbi, invece, su una permanenza di lungo periodo in Belgio. Conosco tantissimi italiani che si trovano molto bene, alcuni di questi hanno anche dei figli e non se ne andrebbero mai da Bruxelles. Io, invece, ho sempre pensato che Bruxelles dovesse essere una città di passaggio.
La maggior parte dei miei amici erano belgi e parlando con loro mi sono accorta di molti aspetti che per me erano inaccettabili. Chi decide di vivere in Belgio per sempre dev’essere consapevole del fatto che la burocrazia è molto più’ macchinosa di quella italiana, resa ulteriormente complicata dal bilinguismo. Bruxelles è essenzialmente disorganizzata. Io vengo da un paese veneto vicino a Cortina d’Ampezzo, una zona che può’ tranquillamente competere con la Svizzera in termini di pulizia ed efficienza. Bruxelles ha un sistema di gestione della spazzatura e della pulizia davvero carente, per non parlare del fatto che è diventata ormai una città poco sicura. Se finivo di lavorare verso le 20.00, spesso mi sentivo davvero a disagio nel ritorno a casa. Il tema peggiore, pero’, era assolutamente il sistema scolastico: la regione di Bruxelles-Capitale è bilingue, pertanto ci sono scuola fiamminghe e francofone. Il problema è che le scuole francofone danno un libero accesso a tutti, mentre per le scuola fiamminghe l’accesso è limitato ai bambini che hanno almeno uno dei due genitori con un B2 di fiammingo.
Questo pero’ ha reso le scuole di serie A e B: quasi nessuno fra i miei colleghi e amici belgi (tutti francofoni) mandava i figli alla scuola francofona. Mi è stato spiegato da parecchi belgi francofoni che nelle loro famiglie, il padre o la madre si prende un periodo di congedo per studiare il fiammingo e ottenere il B2. Questo perché le scuole fiamminghe sono molto più’ organizzate e attrezzate. Parlando con diversi recruiter, mi è stato confermato che nel mondo business di Bruxelles c’è un dominio dei fiamminghi per le posizioni più’ elevate. Anche il mio compagno è un recruiter, e dopo avergli posto il mio dubbio ha iniziato a fare attenzione a questo dettaglio, notando che effettivamente riscontrava anche lui questo trend.
Essendo sia io sia il mio compagno italiani e senza alcuna base di fiammingo, eravamo “condannati” a mandare nostra figlia ad una scuola francofona. Per carità, ci sono scuole francofone eccellenti (questo è un argomento molto sensibile per i belgi), ma mi sembrava ingiusto dover pagare delle tasse molto salate per essere costretta a dare a mia figlia uno svantaggio in partenza, se paragonata a un suo concittadino fiammingo. Anche solo idealmente, creare una differenza socio-linguistica di questo genere mi sembrava poco logico. Non mi piaceva l’idea che dopo tutti i miei sacrifici fossi capitata in un Paese con un problema cosi’ grave.
E’ stato l’insieme di queste contraddizioni del Belgio che ci ha resi molto titubanti su una permanenza definitiva nel Paese. Anche la Svizzera è un Paese dove si parlano diverse lingue, ma qui tutti i bambini hanno accesso alle scuole pubbliche, senza valutare le conoscenze linguistiche dei genitori.

5. Come ti ha aiutato il SID nella formazione e nello sviluppo della tua carriera?
In una fase iniziale, il SID mi ha dato tutte le competenze necessarie per comprendere appieno i fenomeni che dovevo analizzare. All’ONU dovevo scrivere dei report quotidiani sui meeting organizzati dalle ONG durante il Human Rights Council, spesso i temi trattati riguardavano qualche controversia internazionale e mi rendevo conto di quanto le mie competenze multidisciplinari maturate al SID mi permettessero di comprendere appieno determinate dinamiche. Dal punto di vista attitudinale, la disciplina con cui devi sottoporti costantemente ad esami e parziali, durante la triennale, ti rendono sempre aperto al feedback degli altri nel mondo del lavoro. Impari a reggere bene anche la pressione e i deadline.
6. Che consiglio ti senti di dare a quei siddini e a quelle siddine che vogliono intraprendere una carriera nel tuo settore?
Ai siddini che desiderano lavorare nel mio (ormai ex) settore, ossia quello del Health Advocacy, consiglio di fare una shortlist di ONG (per esempio ISN, EPHA, WHA, IDF, ECL, ecc), trade associations (per esempio EFPIA), società di consulenza e aziende (Siemens Healthineers, J&J, ecc) e di mandare anche candidature spontanee ai dipartimenti di interesse. E’ fondamentale monitorare i siti come Euractiv Jobs e Eurobrussels, ma la parte più’ importante la gioca LinkedIn, dove queste organizzazioni e azienda tendono a mettere subito le posizioni disponibili. E’ fondamentale avere un’idea di quali siano le aziende e le organizzazioni nel mondo del Health Advocacy e monitorarle costantemente, in modo tale da essere fra i primi applicants. Per lavorare in quest’ambito, è necessario saper scrivere in un inglese perfetto e soprattutto saper impostare un testo argomentativo, sostenendo le proprie tesi. Se queste conoscenze non sono state approfondite nel corso dei propri studi (purtroppo nella mia esperienza il SID aveva questo difetto) è bene cercare di allenarsi nella scrittura. Questo perché in una fase iniziale sarete voi ad abbozzare le position papers, se le riuscite a scrivere in modo chiaro e risoluto risparmierete tempo al vostro manager, che sicuramente se ne ricorderà.
In generale, pero’, il mio più’ grande consiglio è quello di pensare meno e agire di più, dando ogni giorno il massimo. Ricordo che, da neolaureata, passavo ore a leggere articoli o fare test per comprendere quale potesse essere un percorso lavorativo che mi rispecchiasse. La verità è che il SID ci offre la possibilità di poter sperimentare ed esplorare una varietà enorme di lavori e settori. Cercare di capire quale può essere il percorso adeguato a noi prima ancora di iniziare a lavorare è come cercare di imparare a nuotare leggendo un manuale sul nuoto.
7. Potresti indicarci qui sotto una citazione di un personaggio famoso in cui ti riconosci? E se proprio non vuoi sceglierne una, vuoi lasciarci tu una frase, anche tua, da utilizzare per pubblicizzare la tua SID Story sui nostri canali social?
“Do or do not. There is no try”
Questa frase è tratta da Star Wars (sono un’appassionata), lo dirà Yoda a Luke quando questi gli dice “ok, ci provo”. Mi ci ritrovo molto, perché penso che spesso rimaniamo nella zona grigia del ‘faccio un tentativo’ o ‘ci provo’ per non impegnarci sufficientemente a raggiungere un determinato obiettivo. Io non credo nel ‘provarci’, penso che o si cerca di raggiungere un determinato obiettivo o non ci si impegna a farlo. La via di mezzo è un modo per proteggersi dall’idea di fallimento. O ci si lancia, o non ci si lancia. In entrambi i casi, sarà sufficiente fare i conti con i risultati raggiunti e decidere se continuare a percorrere un determinato percorso o a interromperlo. Da quando ho adottato questa mentalità, la mia autostima è aumentata di molto. O lo faccio, o non lo faccio, ma di certo non ci provo.