
Laurea SID, 2005
Posizione attuale: Direzione Generale Finanza, Parlamento Europeo
Ciao Lara! Grazie per aver accettato di rispondere a qualche domanda di OpportuniSID.
Iniziamo subito con le domande:
1. Potresti raccontarci un pò la tua carriera? Quali traguardi e qualche curiosità?
Certo: mi chiamo Lara, lavoro attualmente al Parlamento europeo; dal 2009 ho sempre lavorato nelle istituzioni europee, complice la forte caratterizzazione della mia specialistica (EPI “Economia e Politica dell’integrazione europea”), la consapevolezza maturata già durante gli studi di non voler cambiare lavoro/paese ogni 4/5 anni (dunque no diplomatica, né cooperante) e ovviamente la retribuzione, che è decisamente più elevata che in Italia. Sono generalmente soddisfatta della mia carriera fino ad ora, e di quello che la mia carriera mi ha permesso di costruire a livello professionale e personale. In particolare, sono soddisfatta di vedere come la mia carriera sia ancora in costante evoluzione (mi piace pensare che continuerà a cambiare, anche in maniera un po’ imprevedibile) e come mi consenta di non smettere mai di imparare – imparare mi fa sentire viva, ed è uno dei requisiti che ancora oggi cerco in un posto di lavoro.
Come sono arrivata a Bruxelles dopo Forlì?
Immediatamente dopo la laurea nel 2008, dopo esser stata rifiutata la prima volta per lo stage in Commissione (curiosità n.1), ripiego sul mio piano B: uno stage MAE-CRUI, rigorosamente non pagato, in Francia. Il mercato del lavoro era immobile, travolto dalla pesante crisi finanziaria del 2007, e partendo subito – almeno mi dissi all’epoca – avrei perfezionato il francese e aggiunto una linea nel curriculum, capitalizzando un momento in cui trovare il mio primo vero lavoro mi sembrava impossibile, oltre che molto angosciante in un contesto che tutti dipingevano come desolante. Lo stage fu il mio regalo di laurea (poter sopravvivere in Francia per 3 mesi, l’ultimo stage non pagato della mia vita, l’avevo già deciso, curiosità n.2) e anche la scelta di Metz (piccola cittadina) e di un consolato (lavoro più amministrativo che politico rispetto ad un-Ambasciata), era dettata dal fatto anche non avendo un soldo volevo perfezionare il francese, ma senza nemmeno un rimborso spese, Parigi o Bruxelles erano troppo care. La scelta si è rivelata fortunata: oltre a trovarmi bene a livello lavorativo, sociale e umano, al termine dei 3 mesi di stage sono poi stata assunta come interim per altri 4 mesi per rafforzare la squadra durante le elezioni europee del 2009, raggiungendo effettivamente un ottimo livello di Francese, il mio primo salario, una nuova voce (in più “EU relevant”) nel CV. Nel mentre, al secondo tentativo, riesco a raggiungere il mio secondo obiettivo (traguardo n.1): lo stage “bluebook” presso la Commissione europea, DG TRADE, grazie alla mia tesi sul commercio agricolo internazionale. I 5 mesi di stage, verso i quali avevo altissime aspettative, mi hanno un po’ delusa, ma mi hanno permesso di vedere esattamente in cosa consisteva il lavoro quotidiano dal punto di vista della Commissione, e di contribuire in maniera operativa al lavoro dell’unità (food-related sectors) con ricerche quantitative e qualitative; inoltre, sono stati un’ottima palestra soprattutto per iniziare a stringere i primi (goffi) contatti professionali e per imparare a muoversi un minimo nella “bolla europea”.
I contatti stretti durante lo stage mi hanno permesso di accumulare informazioni utili sull’accesso alle carriere europee e di proseguire come agente contrattuale come assistente della direttrice responsabile dei paesi candidati (DG ELARG), e da lì come correttrice di bozze e coordinatrice del servizio della corrispondenza politica dell’HR/VP (Lady Ashton e Federica Mogherini) all’EEAS; e da lì ancora come project officer nell’unità Institution Building della DG NEAR (politiche di vicinato e allargamento), una posizione che mi ha permesso di sviluppare un approccio tematico alle relazioni esterne dell’UE grazie all’utilizzo di politiche di “mercato interno” (nel mio caso, la regolamentazione europea su telecomunicazioni, media e processi digitali in senso lato) utilizzate come strumenti di politica estera, in particolare per stimolare le riforme interne stabilite a livello bilaterale tramite gli strumenti di rafforzamento delle capacità amministrative (institution building in inglese), TAIEX e Twinning.
Oltre ad avermi permesso di sviluppare un approccio tematico e interdisciplinare alla cooperazione e alle relazioni internazionali, e ad avermi fatto appassionare alla connessione tra sviluppi politici internazionali, scientifici e delle tecnologie digitali, questa posizione mi ha dato l’opportunità di caratterizzare più chiaramente il mio profilo verso la gestione e la valutazione di progetti, sempre mantenendo un profilo nelle relazioni esterne.
2. Riguardo alla tua mansione attuale, in che cosa consiste il tuo lavoro quotidiano?
Dal 1 settembre, dopo una pausa lavorativa di 7 mesi che ha coinciso in larga parte con il nuovo stile di vita impostoci dall’emergenza COVID-19, ho iniziato a lavorare presso il Parlamento europeo, nella direzione generale finanza. La mia unità si occupa della gestione dei rimborsi delle spese di viaggio che gli eurodeputati effettuano nel contesto delle attività politiche legate al loro mandato. É un lavoro che mescola contabilità, nozioni di diritto, capacità amministrative e organizzative, multilinguismo e abilità diplomatico-relazionali nella comunicazione con i deputati, ma è anche un lavoro che può risultare ripetitivo, e a tratti un po’ troppo “arido” per chi come me è da sempre abituato a lavorare in ambito di policy o con attività di supporto alla policy molto dinamiche, come la comunicazione, l’organizzazione di eventi e la gestione di progetti. Si tratta di un vero e proprio lavoro di analisi investigativa delle spese che vengono presentate, cui segue un lavoro di tipo contabile/finanziario, e infine di comunicazione e mediazione.
Sicuramente non ho intrapreso questa nuova avventura pensando si trattasse del lavoro della mia vita, e forse sembrerà strano che lo si possa dire alla mia età. Ma è possibile accettare un lavoro con la consapevolezza che si tratti di una soluzione temporanea, magari funzionale a determinate circostanze (esigenze familiari ad esempio, che alla mia età sono rilevanti, ma dieci anni fa non lo erano). Ad ogni modo, che si cerchi lavoro per la prima volta o che lo si faccia per la decima: considerare obiettivi personali e professionali di breve, medio e lungo termine, tipo di work-life balance desiderato, tipo di mansioni, area tematica, compenso: la risposta è diversa per ciascuno di noi e cambia ulteriormente a seconda della fase di vita che attraversiamo, ma le domande da porsi sono sempre le stesse.
Fortunatamente, la mia attitudine di apertura verso il cambiamento, combinata al mio interesse per il mondo della comunicazione e del digitale, mi hanno permesso di “usare” questo lavoro come trampolino di lancio per poter iniziare a lavorare nel campo della progettazione informatica dell’unità – voi direte, che c’entra col SID?!
Il covid-19 ha sdoganato non solo lo smart working, ma ha anche accelerato la digitalizzazione di alcuni processi. A causa del covid19 è in atto una vera e propria rivoluzione digitale a cui mi è stata appena data la possibilità di contribuire, assistendo il business Analyst nei test della nuova piattaforma di lavoro online che rimpiazzerà quella attualmente in uso (decisamente obsoleta) che costringe lo staff a lavorare in modo sub-ottimale. Un miglioramento dei processi di gestione in questo caso e l’uso di elementi di intelligenza artificiale potrebbe liberare molto del nostro tempo, un’evoluzione interessante che potrebbe totalmente sconvolgere il mio lavoro quotidiano così com’è ora, e consentirmi di approfondire le mie conoscenze in campo di project management e digitalizzazione mentre imparo nuove (non emozionanti, ma sempre utili) nozioni finanziarie.
Non so quanto tempo resterò al Parlamento, ma punto ad entrare in un’agenzia esecutiva dell’UE a causa della maggior stabilità contrattuale che queste offrono e della lunga esperienza UE che ho maturato e su cui vorrei poter continuare a costruire la mia carriera; per questo, vedo il mio attuale impiego come propedeutico ad acquisire quelle competenze di gestione finanziaria in cui non ho ancora sufficiente esperienza e che mi permetterebbero di lavorare in un’agenzia esecutiva.

3. Come ti ha aiutato il SID nella formazione e nello sviluppo della tua carriera?
Il SID mi ha fornito sicuramente un approccio interdisciplinare alla realtà e la capacità di analizzare le questioni da diversi punti di vista, stabilendo facilmente collegamenti interdisciplinari, capacità da non disdegnare in un mondo complesso, interconnesso e globalizzato come quello attuale. Ho letto nelle precedenti interviste che molti “lamentano” l’eccessiva generalità del corso di laurea. Anch’io pensavo questo all’inizio della mia carriera, ma questa stessa caratteristica mi ha permesso di mettermi alla prova in diversi ambiti e ruoli (amministrazione, policy, project management, procurement evaluation, comunicazione, finanza e pagamenti). Senza contare la versatilità in termini di sbocchi professionali che il SID offre, corredato (o no) da ulteriori percorsi di formazione più specifici e specializzanti.
Le possibilità di scambio internazionale, il fatto di studiare su moltissimi libri di testo (complessi) e articoli in inglese già dal terzo anno della triennale, e infine di poter seguire corsi dati in inglese da visiting professors provenienti da altre università, hanno sicuramente contribuito alla vocazione internazionale del mio profilo. La qualità dei corsi e dei docenti ha fatto la differenza, soprattutto la presenza di docenti giovani, dinamici e appassionati (per l’età media dei prof dell’epoca) che controbilanciavano il tipico approccio un po’ paternalistico da “barone” dei più potenti e rinomati, introducendo importanti novità che hanno rivoluzionato per sempre il mio metodo di studio e la maniera in cui analizzo i problemi, privilegiando ad esempio lavori di gruppo, lavori di ricerca specifici secondo precise metodologie, libri di testo all’avanguardia (talmente tanto da non essere disponibili in italiano a volte) e privilegiando il libero flusso di informazioni tra studenti, un po’ sul modello della ricerca scientifica che privilegia strutture di tipo orizzontale e più collaborative (anche a livello di cooperazione internazionale) per favorire la condivisione di informazioni e un più rapido progresso.
Quello che rimprovero al SID è di non essere riuscito a sviluppare un vero servizio di orientamento per gli studenti che ne faciliti il passaggio al mondo del lavoro: gli studenti universitari nel resto dell’UE ricevono una formazione adeguata in merito, e sono quindi più bravi di noi a vendersi, esattamente come un prodotto, non essendo necessariamente più bravi di noi nella sostanza.
Quindi bravi tutti i volontari di OpportuniSID per aver creato un’iniziativa molto utile in questo senso.
4. Molti Siddini stanno ora facendo il loro ingresso nel mondo del lavoro. Qual è il miglior modo per affrontare queste nuove sfide per un neo-laureato/a Siddino/a?
Non so quale sia il modo migliore per affrontare queste sfide, ma posso condividere qui la mia personale esperienza con la consapevolezza che si tratta di un punto di vista personalissimo.
Lo stress, il senso di insicurezza, la precarietà, la mancanza totale di punti fermi, il doversi adattare a nuove logiche (di ufficio, sul campo, di altri paesi e culture, etc.), l’ansia dell’ennesimo rinnovo di stage o di contratto, la competizione elevata, la cultura da performance costante… È normale essere disorientati, stressati, sentirsi impreparati – e vi assicuro, non lo siete.
Il fallimento e le delusioni esistono, e rappresentano una possibilità concreta soprattutto all’inizio della carriera. Per questo bisogna imparare e gestirli e a trasformarli positivamente in una lesson learned, senza starsi a crogiolare nella delusione. È quello che mi successo ad inizio carriera durante lo stage bluebook di cui non sono stata entusiasta. Il mio errore fu quello di essere iper critica verso me stessa, senza dare il giusto peso a tutta una serie di fattori che non potevo controllare (cultura di lavoro nell’organizzazione, momento storico, pecche del mio coordinatore, mia paura di comunicare chiaramente per migliorare la mia esperienza di stagista, etc.). In questo errore, ha certamente pesato una concezione sbagliata tipica della mia generazione che vede il lavoro non come un diritto ma come un privilegio, il che tende ad inibire le critiche costruttive, che ho poi invece imparato a formulare in modo estremamente diplomatico e personalizzato in base all’interlocutore, giovandone enormemente a livello professionale.
Imparare a chiedere un feedback ai superiori: ci è dovuto, ma non sempre i manager ne hanno voglia o tempo. Bisogna saper chiedere, e bisogna poi saper ascoltare e accettare anche cose che non ci piacciono (o capire che abbiamo un’incompatibilità lavorativa con quella persona ed elaborare una exit strategy).
Dare sempre il massimo ma mantenere la lucidità di capire quali situazioni possiamo influenzare e controllare, e quali no, aiuta. Non è colpa di nessuno se siamo all’inizio di una crisi legata all’emergenza sanitaria, ma questa non deve diventare una scusa per tirare i remi in barca e dirci che “tanto il lavoro non si trova”. Uno dei miei grandi meriti è stato quello di fare sempre di testa mia, e soprattutto non ascoltare la litania della mancanza di opportunità onnipresente in tutte le conversazioni tra giovani del sud Italia: il lavoro certamente non cade in testa, e chi intraprende il SID sa che probabilmente non lavorerà in Italia (e comunque se sei del sud, al 50% emigrerai comunque dalla tua regione), ma le opportunità sono di chi va a cercarsele, con fatica, sacrificio, impegno, in Italia e all’estero. Non usiamo il mood generale, per quanto veritiero e corrispondente alla realtà, per giustificare il nostro immobilismo. Che si decida o meno si spostarsi all’estero: basta che si tratti di una decisione attiva e riflettuta, e non di un’accettazione passiva di una visione fatalista che non si condivide.
Una cosa che ho fatto poco all’inizio, che non sapevo fare bene: fare rete, costruirsi un network ed usarlo per chiedere aiuto, informazioni e raccomandazioni. Ritengo estremamente importante la condivisione di esperienze e lo scambio di informazioni utili che facilitino il delicato passaggio al mondo del lavoro che, ne sono convinta, è uno dei periodi più difficili della vita di un individuo. Correzione del CV, revisione della cover letter, informazioni su una vacancy: non esitate a chiedere, è un modo per imparare in maniera condivisa, utile anche sul lavoro. La rete di contatti va allargata e mantenuta in modo intelligente e secondo il personale stile di ciascuno. Non ci sono regole, e anche l’ultimo degli stagisti può rivelarsi un contatto importante tramite magari cui troverete lo stage dei vostri sogni: lo stagista di oggi può essere il capo di domani, e la segretaria può trasformarsi nella project manager in pochi anni. Trattare tutti con professionalità e rispetto, indipendentemente dal ruolo che ricoprono.
Mai svendere la propria professionalità: sono tendenzialmente contraria agli stage non retribuiti o insufficientemente retribuiti perché ledono a quella che voi chiamate “meritocrazia” che a me piace più chiamare “uguaglianza di opportunità”, rendendo alcune opportunità accessibili solo a chi può permetterselo. Sfruttare l’entusiasmo e la freschezza di stagisti e nuovi assunti è normale ed è esattamente ciò che vi rende competitivi, a patto che ci sia almeno un rimborso spese, e che voi possiate arricchire il vostro CV non essendo costretti a vivere con i vostri genitori fino a dopo la laurea.
Seguire le proprie passioni, e le proprie inclinazioni personali. Queste ultime spesso rappresentano delle incredibili risorse di cui siamo inconsapevoli (come nel caso della mia naturale apertura mentale verso il cambiamento che mi ha permesso di emergere in un contesto in cui il resto dello staff è avverso al cambiamento e timoroso di lasciare la propria comfort zone).
Infine, non smettere di essere curiosi e non aver paura di cambiare strada. Molti dei lavori di oggi non esistevano dieci o venti anni fa, e chissà quali lavori che ancora non esistono farà chi mi legge ora tra 20 anni. Il COVID-19 è riuscito a far saltare il patto di stabilità: cosa ci aspetta per il futuro?
Cosa voglio fare da grande? Lavorare ancora per 8/10 anni massimo, per lanciare un progetto di vita altrove con mio marito, che nel 2012 ha mollato tutto per seguirmi a Bruxelles. Oltre ai necessari salari, questi anni ci permetteranno di lavorare piano piano all’acquisizione delle competenze che ci mancano per poter realizzare questo progetto insieme.